Il Dibattito Pubblico è uno degli strumenti più conosciuti quando si parla di progettazione partecipata e di facilitazione. Nato in Francia, l’istituto poi ha avuto applicazione anche in altre realtà. Ma è proprio oltralpe che continuano a svolgersi le esperienze più interessanti e rilevanti. Agnese Bertello, una della facilitatrici di FacilitAmbiente e socia di Ascolto Attivo, una importante realtà nel mondo della partecipazione in Italia, ha recentemente recitato un ruolo primario in un dibattito pubblico avete ad oggetto l’acqua potabile nella regione di Parigi. Le abbiamo rivolto qualche domanda per farci raccontare com’è andata e ragionare sulla situazione nel nostro paese.
Agnese, nella tua recente esperienza nell’Ile de France, hai affrontato un tema estremamente delicato come quello dell’acqua potabile. Puoi raccontare in sintesi come mai ti sei trovata ad occuparti di un’esperienza così particolare fuori dall’Italia?
Ho cominciato ad occuparmi di dibattito pubblico dal 2010, avvicinandomi al tema dei conflitti territoriali legati alla realizzazione di opere e infrastrutture in Italia, in particolare i conflitti legati a progetti di produzione di energia o alla gestione dei rifiuti.
Cercando di capire quali strumenti attivare per intervenire, in maniera preventiva, in queste situazioni, ho cominciato a studiare il dibattito pubblico francese e mi sono appassionata. Negli anni, il dibattito pubblico è arrivato anche da noi, prima introdotto con la Legge regionale toscana, applicato in via sperimentale in altre regioni e città. Ho continuato a seguire la sua evoluzione, a studiarne l’applicazione, a intervistare coordinatori, responsabili, amministratori, a prendervi parte come facilitatrice.
Nel 2018 il Dibattito Pubblico è stato introdotto a livello nazionale con la riforma del codice degli appalti dell’allora ministro Delrio. La formulazione prevista dalla nostra legge non era soddisfacente, dal mio punto di vista, ma era un punto di partenza. Le prime applicazioni concrete si sono viste nel 2020. Come ricordiamo tutti, quello è stato l’anno della crisi sanitaria: tutto si è fermato. Il PNRR, subito dopo, ha invece impresso una accelerazione fortissima e ha imposto di ridurre notevolmente i tempi per condurre il Dibattito. Nel 2023 si è cominciato a discutere di una nuova riforma che ne avrebbe completamente stravolto la natura e gli obiettivi. Ho pensato che per fare una esperienza di Dibattito Pubblico avrei dovuto guardare cercare altrove, così ho mandato la mia candidatura alla Commissione Nazionale del Dibattito Pubblico francese. La presidente della commissione del DP sull’acqua potabile in Ile de France ha ritenuto che avessi un profilo interessante e mi ha chiamata. Sarebbe un discorso lungo da fare, ma la mia impressione è che non siamo riusciti in questo lasso di tempo – molto breve, ribadisco – a costruire una cultura del Dibattito Pubblico, a farne comprendere le ragioni, il grande cambiamento di cui può essere veicolo.
Qual era l’oggetto del Dibattito Pubblico?
Il dibattito pubblico “L’acqua potabile in Ile-de-France” riguardava il progetto di Sedif, operatore che produce e distribuisce acqua potabile nella regione parigina. Con i suoi 4 milioni di utenti, Sedif è un colosso del settore. Il progetto prevedeva l’introduzione di una nuova fase di trattamento dell’acqua potabile, integrativa rispetto al processo normalmente attuato, in tre dei suoi impianti: l’osmosi inversa a bassa pressione, un processo di filtrazione con membrane ad alta performance che viene normalmente usato per desalinizzare l’acqua di mare nei territori in cui non si dispone di acqua dolce. Si tratta di un processo estremamente energivoro, non a caso i proponenti il progetto erano di fatto due, Sedif e RTE, operatore della rete elettrica nazionale, perché dovranno essere realizzate delle nuove linee che arrivano all’impianto per consentire il maggiore approvvigionamento di energia. L’obiettivo dichiarato da Sedif è quello di produrre un’acqua più pura, migliorandone il gusto e la durezza, eliminando micro-inquinanti e micro-plastiche, riducendo il calcare ed evitando l’uso del cloro.
Quali sono le maggiori difficoltà che hanno contraddistinto questo progetto di partecipazione?
La difficoltà principale è stata cercare di colmare il gap informativo tra esperti, operatori del settore e cittadini. In generale, tendiamo a considerare l’acqua potabile un diritto acquisito, garantito. Nella nostra visione di cittadini europei, l’acqua potabile non verrà mai a mancare. Questo fa sì che tendiamo a non interrogarci su come funziona tutto il processo che rende l’acqua del nostro rubinetto potabile. Oltre a questo, c’era tutta la complessità scientifica legata al tema delle microplastiche e dei microinquinanti: non sappiamo ancora abbastanza sul loro impatto sulla nostra salute e sull’ambiente, non sappiamo come interagiscano tra di loro, non sappiamo quanto è rilevante l’impatto sulla nostra salute dei microinquinanti presenti nell’acqua rispetto a quelli che troviamo negli alimenti, nell’aria. È un tema su cui la ricerca scientifica stessa deve fare ancora passi avanti e che le istituzioni devono comprendere come gestire.
Il tema dell’acqua in Italia è se possibile ancora più complesso e articolato. In che misura questa esperienza francese può essere importata in Italia?
Il tema ci riguarda e riguarda tutti i paesi europei. Sedif ha elaborato questo progetto tecnologico in risposta a una direttiva europea che fissa dei parametri in merito alla presenza di microinquinanti e microplastiche nell’acqua. Come sappiamo ogni paese membro deve recepire le direttive e individuare le modalità che ritiene più opportune per perseguire l’obiettivo indicato. Il bello della questione è proprio qui. Dovremo quindi farlo anche noi e anche il nostro sistema dovrà individuare la soluzione più giusta. Durante il Dibattito in Francia, molti attori del settore, oltre a cittadini e associazioni hanno fatto presente che al di là della scelta tecnologica, c’è una questione strategica fondamentale: la questione è talmente grande, ha ripercussioni su così tanti fronti, che è necessario che le valutazioni su come intervenire vengano fatte a livello nazionale, coinvolgendo l’intero sistema, e non lasciando l’iniziativa ai singoli operatori che, tra l’altro, possono mettere in campo risposte molto diverse, per efficacia, e quindi rischiando di compromettere un principio di equità tra cittadini.
Il tema si ricollega anche all’attualità di questi giorni: la presenza di microinquinanti nell’acqua è dovuta per una parte molto significativa all’agricoltura.
Il Dibattito Pubblico in Francia è uno strumento di partecipazione ampiamente utilizzato. Quali sono i principali benefici che hai potuto direttamente constatare nella tua esperienza personale?
La differenza principale è che in Francia esiste quella cultura del Dibattito Pubblico che, come dicevo prima, noi non siamo riusciti a creare. Il merito vada attribuito alla presenza di una Commissione nazionale la cui missione è garantire il diritto all’informazione e alla partecipazione dei cittadini e delle cittadine. La CNDP è un’autorità amministrativa indipendente, ha l’autorevolezza che viene da 25 anni di attività, ma ha anche una struttura e un budget (che per noi sono stratosferici) per esercitarla. La CNDP presiede a tutti i Dibattiti Pubblici che vengono organizzati, ma per ciascuno di questi nomina un presidente e costituisce quella che si chiama la Commissione Particolare del DP che si occuperà di quel solo dibattito. Quando un Dibattito parte, c’è una macchina che si mette in moto e che sa qual è la direzione da prendere. Nei casi in cui il soggetto che propone l’opera sia ostico, poco propenso alla partecipazione, oppure voglia esercitare un’ingerenza sulle scelte della commissione, il fatto di poter fare affidamento sulla CNDP ha certamente il suo peso: è una garanzia per poter esercitare veramente quella indipendenza, quella terzietà essenziali per la qualità del dibattito.
Ilaria Casillo, italiana, è vice presidente del Commission Nationale du Débat Public, il massimo organismo francese in tema di partecipazione. Tu hai seguito un progetto di grandissima importanza come l’acqua potabile per la regione parigina. I talenti italiani della partecipazione sono forse più apprezzati all’estero?
È sempre una questione di cultura. Direi che in un contesto che ha sviluppato una cultura della partecipazione e della deliberazione, che attribuisce valore alla partecipazione, le competenze vengono riconosciute.