Il 5 dicembre 2022 alle 18.00 si svolge una Tavola Rotonda online sul tema “Tutelare il Dibattito Pubblico – democrazia e partecipazione nella bozza di riforma del Codice Appalti“, organizzato per parlare della riforma del dibattito pubblico da Scuola Capitale Sociale in collaborazione con AIP2, IAF, ActionAid, FONDACA Osservatorio civico PNRR, Argomenti2000, Cittadinanzattiva, Saichepuoi?
Iscrizione su piattaforma Zoom attraverso l’apposito form.
Perché è così importante parlare di Dibattito pubblico ora?
Entro marzo 2023, il nuovo testo della riforma del Codice dei Contratti dovrà essere approvato. Negli ultimi giorni una bozza di questo testo sta circolando, il testo è stato predisposto dalla Commissione di esperti del Consiglio di Stato cui era stato affidato il compito dal Governo Draghi in base alla legge delega n. 78 del 2022.
La riforma del codice degli appalti è una delle richieste dell’Unione europea ai fini dell’attuazione del PNRR ed ha a che fare con la semplificazione e la riduzione dei tempi, oltre che con i principi di non discriminazione, legalità, trasparenza, riduzione del contenzioso, ecc.
Tra gli oggetti della riforma, c’è la modifica alla disciplina del dibattito pubblico “al fine di rendere le scelte maggiormente rispondenti ai fabbisogni della comunità, nonché di rendere più celeri e meno conflittuali le procedure finalizzate al raggiungimento dell’intesa fra i diversi livelli territoriali coinvolti nelle scelte stesse” (legge delega n. 78/2022).
Tuttavia, il nuovo Articolo 40.Dibattito Pubblico, che andrà a sostituire l’attuale Art. 22. Trasparenza nella partecipazione di portatori d’interesse e Dibattito Pubblico, non sembra rispettare queste linee guida. Al contrario, sembra andare nella direzione di un dibattito pubblico burocratico, formale, più che sostanziale.
L’Associazione Italiana per la Partecipazione Pubblica, AIP2, ha redatto un’analisi della bozza di riforma insieme ad ActionAid, Argomenti 2000, Iaf e Sai che puoi, che l’hanno sottoscritta, di cui riportiamo alcuni dei punti critici fondamentali.
Rispetto all’Art. 22 oggi in vigore, la durata del Dibattito Pubblico viene dimezzata (60 giorni invece che quattro mesi) mentre sono raddoppiati i tempi di redazione della relazione finale da parte del responsabile (60 giorni invece che 30), ma la cosa più preoccupante è che scompaiono proprio quegli elementi di qualità che rendevano lo strumento credibile ed efficace:
- Sparisce l’obbligo di rendicontazione degli esiti della consultazione pubblica, “comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse, che il precedente Codice chiedeva di pubblicare, con pari evidenza, unitamente ai documenti predisposti dall’amministrazione”.
- Scompare ogni riferimento alla Commissione Nazionale Dibattito Pubblico, istituita presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti “con il compito di raccogliere e pubblicare informazioni sui dibattiti pubblici in corso di svolgimento o conclusi e di proporre raccomandazioni per lo svolgimento del dibattito pubblico sulla base dell’esperienza maturata”; un organismo collegiale trans-ministeriale che presta gratuitamente il proprio impegno per valutare e monitorare l’efficacia dello strumento.
- Non si fa cenno all’impegno dell’amministrazione aggiudicatrice o del proponente l’opera di “curare lo svolgimento della procedura”, anzi, sembra che persino l’indicazione delle osservazioni meritevoli di accoglimento sia delegata al responsabile del Dibattito Pubblico che invece dovrebbe essere un mediatore terzo e neutrale rispetto agli interessi in gioco. Sembra addirittura che il Dibattito Pubblico possa essere svolto come una mera raccolta di osservazioni individuali senza alcun “dibattito”, senza spiegazione del progetto e delle sue ragioni, senza confronto tra chi propone l’opera e chi ne subisce gli impatti o semplicemente vuole capire quali sono le ricadute di un investimento pubblico per l’economia e la società.
- Viene limitata la partecipazione ai soli “portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati cui possa derivare un pregiudizio dall’intervento”, dimenticando il Freedom of Information Act (Foia), il Libro Bianco sulla governance europea e la normativa comunitaria, in particolare la Convenzione di Aarhus (sottoscritta anche dall’Italia e giuridicamente vincolante) che prevede che per ogni progetto che ha un impatto considerevole sull’ambiente, le abitudini di vita, gli aspetti socioeconomici, i cittadini abbiano il diritto di partecipare ed essere informati, anche su come i loro punti di vista sono stati presi in considerazione.
Manca ancora l’Allegato XI, il regolamento che definirà i casi di Dibattito Pubblico obbligatorio e le modalità di partecipazione e svolgimento, ma è evidente che la nuova impostazione che è stata data allo strumento non va certamente nella direzione della garanzia di trasparenza, fiducia e rispondenza ai fabbisogni delle comunità! Stravolge invece inspiegabilmente il Dibattito Pubblico, trasformandolo da innovativo dispositivo di progettazione più attenta ai bisogni dei territori (non a caso l’Art. 23 del Codice Appalti prevede che i suoi costi siano inseriti tra gli oneri di progettazione) a mero adempimento formale che non prevede neppure i requisiti di qualità suggeriti dalle Linee guida sulla consultazione pubblica, dalle raccomandazioni elaborate a livello internazionale dall’OCSE in materia di governo aperto, dai principi dell’Open Government Partnership il cui V Piano d’Azione Nazionale impegna l’Italia anche a specifiche azioni di promozione e potenziamento del Dibattito Pubblico.